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TRITTICO DEL DIS/SENSO


TRITTICO DEL DIS/SENSO

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Franco Cipriano, Pier Paolo Patti e Ciro Vitale

a cura di Franco Cipriano

24 febbraio - 20 marzo 2018,

Tarumbò - via Galileo Galilei 10 - Scafati

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Che cos’è un libro? Forse uno dei maggiori “anacronismi” del nostro tempo. Un tempo che abbatte i tempi eppure lascia sempre meno tempo. Un tempo in cui è sempre più facile l’accesso alla conoscenza eppure pare sempre più difficile pensare che le nuove generazioni raggiungeranno la stesso livello culturale – oltre che, come si ripete ormai da anni, lo stesso tenore di vita – dei loro padri. Un tempo che tende ad azzerare ogni funzionale supporto materiale per la cultura, eppure è avido di riproporre, dopo averlo superato tecnologicamente, ciascuno di questi supporti. Così oggi vanno tutti pazzi per i vecchi vinili, per i film in super 8 – alla fine del primo decennio del nuovo millennio le grandi biennali d’arte contemporanea cominciano a pullulare di un tale medium –, mentre si moltiplicano anche i libri d’artista, ultimo anello di un’eredità che germina almeno dalle avanguardie storiche e, passando dal movimento lettrista di Isidore Isou e quindi dalla poesia visiva e dall’arte concettuale degli anni sessanta – fatte salve le analogie e le differenze di queste ultime due tendenze più o meno coetanee e più o meno figlie degli stessi genitori, eppure, proprio come due fratelli, talvolta davvero su binari divergenti -, arriva fino ai giorni nostri, allorché il libro d’artista – che pure non disdegna, non secondariamente per esigenze di risparmio economico più che ecologico, la nuova soluzione dell’ebook – si contamina felicemente, spesso e volentieri, con l’opera d’arte che adopera il libro come readymade. Un tempo non era la stessa cosa, eppure i confini – bisogna riconoscerlo – sono labilissimi. Verrà presto il giorno in cui – anzi probabilmente l’evento si è già più volte verificato e non manca naturalmente neanche questo di precedenti ormai classici, si pensi al catalogo-mostra Xerox Book di Seth Siegelaub, il compianto ideologo-impresario dell’arte concettuale – libro d’artista, libro come opera readymade, catalogo, mostra e quant’altro finiranno per identificarsi entro un campo di tensioni più o meno accese e più o meno visibili tra generi.

Franco Cipriano, Pier Paolo Patti e Ciro Vitale sono tre uomini costantemente lacerati tra senso e dissenso – che guarda caso sono due dei, se non i due principali, motivi per i quali si scrive o si legge un libro; tra radici ed errare – sono tre scafatesi che amano e ben conoscono il loro territorio, ma anche tre cittadini che, in questo ed in altri momenti passati, sono fisicamente più lontani che vicini da Scafati – e last but not least – tra le tante affinità che si potrebbero ancora enumerare – sono tre artisti che hanno lavorato in tempi più o meno recenti sulla nozione visiva di libro, ciascuno a suo modo ma anche entro relativamente casuali convergenze. Ecco perché la ricomposizione triadica delle loro opere porta inevitabilmente ad un Trittico del dis/senso!

Cipriano è forse colui in cui più si incarna il dis/senso del paradosso, giacché si serve del libro, vertice della nostra tradizione logocentrica greco-romano-giudaico-cristiana – quella che ha come principale fondamento proprio un libro il cui titolo, tradotto dal greco, significa appunto “raccolta di libri”, e, malgrado ogni biblioclastia antica e moderna, resta ancora di gran lunga il libro più stampato tradotto e venduto al mondo – proprio per metterla in discussione. Del resto le origini del giudaismo-cristianesimo sono tanto iconoclaste quanto bibliolatre. L’iconoclastia è forse qualcosa che oggi evoca innanzi tutto violenza – vedi le spettacolari devastazioni dei fondamentalisti che si richiamano al Corano -, ma essa è anche possibilità per l’epifania del mistero. Il mistero è proprio ciò che talvolta una sillaba in più rischia di distruggere, persino la sillaba che designa il nome dell’Origine. Così la pensa evidentemente Jean Baudrillard quando ne La sparizione dell’arte (1988) scrive: «Gli iconolatri erano gente sottile che pretendeva di rappresentare Dio a sua maggiore gloria, ma che in realtà simulando Dio nelle immagini dissimulava con ciò stesso il problema della sua esistenza. Ogni immagine era un pretesto per non porre il problema dell’esistenza di Dio. Dietro ogni immagine, in effetti, Dio era scomparso». Pertanto la prassi di Cipriano è «linguaggio prima del linguaggio come senso, come gesto», e l’arte agisce come dis/senso proprio in quanto destituzione del concetto, ma la materia resta come territorio del pre-esprimibile.

Vitale riporta, per certi versi, il logos sulla terra, per quanto neanche i suoi libri siano solcati da alcun alfabeto, ma solo alternativamente funestati da gravi abrasioni o emergenti da questa prima tipologia come volumi luminosi, e tale dualismo tenebre-luce ci conduce nuovamente in una dimensione tipicamente giudaico-cristiana e specificamente giovannea. C’è qualche eco di Alberto Burri, delle sue brune lacerazioni, ma il medico-artista non ha dietro di sé – si è spesso osservato – la memoria del monaco-artista Beato Angelico che è un grande pittore di luce, come il suo stesso pseudonimo indica abbondantemente? «E gli uomini vollero/piuttosto le tenebre che la luce» è la famosa citazione in dis/senso che Giacomo Leopardi trae dal Vangelo di Giovanni e pone in epigrafe alla sua tarda lirica La ginestra (1836) – componimento peraltro di “genesi vesuviana” come i nostri tre artisti ed i tre scomparti del loro trittico -, ma «Dovunque si bruciano i libri, si finisce per bruciare anche gli uomini» - profetico aforisma di un altro grande poeta, il tedesco, e quasi perfettamente coetaneo di Leopardi, Heinrich Heine – è la frase che più ricorre nella mia mente quando considero quest’opera di Vitale alla luce della sua produzione più in generale, essendo egli lungamente impegnato a mettere a fuoco la memoria delle tragedie della storia con una particolare attenzione a quelle legate al nazifascismo – a Scafati, al pari di Milano, Napoli o Roma, è stata conferita la medaglia d’oro alla Resistenza!

Patti infine non è da meno di Vitale per quanto riguarda il duro confronto con gli orrori della storia umana più e meno recente, così come non è terzo rispetto a Cipriano e Vitale sul piano dei riferimenti alla cultura giudaico-cristiana, ma più che il dualismo luce-tenebre egli ne coglie qui un altro non meno topico, quello candore-cruenza. A chi è intriso di cultura plastico-visiva balenano subito i contrasti pittorici tra il bianco manto lanuginoso di un agnello sacrificale e le stille di sangue – si pensi, per limitarci ad un solo esempio, al degno agnello che sta ritto su un altare nello scomparto centrale del Polittico di Gand (1426-1432) di Jan ed Hubert van Eyck: dal suo petto fuoriesce un fiotto di sangue che va direttamente a colmare un calice posto alle sue zampe. Esempio di origine verbale, eppure di grande evocatività visiva è poi – sempre per limitarci ad un solo caso tra i mille possibili – quello dei vegliardi dell’Apocalisse di Giovanni – ancora lui! -, coloro che, avendo attraversato «la grande tribolazione», «hanno lavato le loro vesti rendendole candide col sangue dell’Agnello». «Ogni giorno d’ogni mese d’ogni anno in tutto il mondo», canta il giovane Frankie Hi-Nrg, «la violenza comanda le azioni di uomini e nazioni: sesso, razza, religioni, non mancano occasioni per odiare, ma dobbiamo ricordare che siamo libri di sangue.. tutti libri di sangue...». Il cantante umbro rappa queste parole nel 1993, all’alba di un nuovo – od apparentemente tale – ordine mondiale. A distanza di un quarto di secolo Patti non sembra vederla e pensarla troppo diversamente.

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